La difesa delle Tremiti scende in piazza
Fonte: statoquotidiano.it di Agostino del Vecchio
Foggia – “FATTI come l’ennesimo semaforo verde del ministero dell’ambiente alla ricerca del petrolio nelle immediate vicinanze dell’Area marina protetta delle isole Tremiti, il disastro ambientale causato dall’incidente allo stabilimento “E.On” di Porto Torres, lo scorso 11 gennaio, con almeno 15mila litri di olio combustibile finiti in mare, proprio di fronte al Parco nazionale dell’Asinara, dovrebbero farci seriamente riflettere su quale destino vogliamo per il nostro sistema delle Aree marine protette in Italia”. La denuncia parte dal presidente dell’associazione ambientalista Marevivo, Rosalba Giugni che evidenzia anche gli esigui fondi destinati alle aree marine protette in Italia, in tutto 27, oltre ai 2 parchi sommersi ed il Santuario Internazionale dei mammiferi marini, detto anche Santuario dei Cetacei, la riserva più vasta del Mediterraneo. La sfortuna dell’Italia è “solo” di avere attualmente un ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo con interessi nel petrolio e all’interno di un Governo che blocca i referendum sull’acqua pubblica e sul nucleare quando i pronostici di piazza non gli sono favorevoli.
Ed è proprio dalla piazza che la protesta prenderà corpo e anima il prossimo 7 maggio alle ore 10 nel porto di Termoli dove si incontreranno tutti i manifestanti. Si prevedono circa circa 11 mila persone tra amministratori di Puglia, Abruzzo e Molise, ambientalisti, 280 associazioni provenienti anche dalla Basilicata e dal nord Italia come Rovigo e Padova. Tutti i partecipanti indosseranno un foulard nero, a sottolineare la possibile minaccia di una marea nera sulle coste delle diomedee.
Il corteo della manifestazione si muoverà verso il Centro storico di Termoli per poi raggiungere la spiaggia del lungomare nord dove insceneranno uno spiaggiamento simbolico a ricordo di quello dei capodogli accaduto a Foce Varano, a nord del promontorio del Gargano. “Alcune grandi imbarcazioni eseguono ricerche di idrocarburi al di sotto dei fondali marini emettendo forti ed improvvisi rumori che interferiscono con i sistemi di ricerca di cibo dei capidogli disorientandoli”. Ad asserirlo fu il professore Giuseppe Nascetti, pro-rettore dell’università della Tuscia, ritenuto uno massimi esperiti mondiali di parassitologia ed ecologia marina, lo 18 dicembre 2009, a seguito della morte dei 7 balonotteri. Le cause ufficiali furono, però, attribuite a delle buste di plastica ingerite dai mammiferi acquatici.
Peccato che la stessa Prestigiacomo ha assicurato che i radar di ricerca della Petroceltic S.p.a (che lavora in sub appalto per la Eni) si fermeranno nel caso di avvistamento di delfini e cetacei in genere. Se le potenti prospezioni sismiche sul fondo marino avranno esito positivo si partirà successivamente con le perforazioni, utilizzando anche polveri detonanti, fino a 4mila metri di profondità, con la costruzione di infrastrutture petrolifere lungo le linee costiere pugliesi. Alla faccia dell’aerea marina protetta.
Erano le 21:45 del 22 aprile di un anno fa quando un’esplosione sulla piattaforma petrolifera Deepwater Horizon provocò 11 morti, 17 feriti e la fuoriuscita, in 5 mesi, di un fiume di oltre 780 milioni di litri di petrolio che avvelenò le acque e le coste del Golfo del Messico. La flora e la fauna marina non sarebbero state più le stesse. Il governo statunitense ingiunse al gruppo petrolifero responsabile del disastro un accordo per la costituzione di un fondo iniziale di 20 miliardi di dollari per risarcimento danni. BP dal canto suo ha dichiarato spese per 8 miliardi di dollari per contenere il petrolio e perdite per 3,95 miliardi. La stessa società petrolifera, la svizzera Transocean, così come altre compagnie petrolifere, ha già ripresentato domanda per riprendere le trivellazioni nella stessa zona.
Fonte: statoquotidiano.it di Agostino del Vecchio a.delvecchio@statoquotidiano.it